Vecchi cortili

Fuori dai bordi

@newtopograffics

Di solito giocavamo nei lunghi pomeriggi d’estate, quando la mamma non ci lasciava uscire perché faceva troppo caldo. Allora noi prendevano la palla, tu ti mettevi davanti alla finestra e io tiravo più forte che potevo. Il portiere lo facevi sempre tu perchè io ero troppo piccolo e mi sarei fatto scappare la palla. Una volta ho insistito così tanto che hai ceduto. Mi sono messo in porta, spalle alla strada, e mi sentivo grande come te. Solo che hai tirato troppo forte, o forse è colpa mia che mi sono distratto, e la palla è scivolata via. Due rimbalzi sordi e si è accasciata nel balcone di sotto. La mamma non ha voluto comprarcene un’altra perché la scuola stava per iniziare.

Fa caldo oggi. Io non posso uscire e l’estate non finisce più. Dalla finestra vedo la palla, ancora lì, sempre più sgonfia. Tu te ne stai chiuso in camera e tra poco te ne andrai dai tuoi amici. Di me non ti importa più niente. Eppure ci divertivamo tanto. E poi me l’avevi promesso che saresti andato a recuperare la palla sul balcone.

Perchè non vuoi più giocare con me?

[Questa storia è stata pubblicata per la prima volta su BasiclyMag]

Tende arancioni | Orange curtains

Fuori dai bordi

Photo by @quarantadue_

Ho provato a convincere l’intero palazzo: quattro piani, tre appartamenti ciascuno. Ho bussato a ogni porta, carico come un mulo, chiedendo di appendere le mie tende arancioni. Solo per una mattina, li ho rassicurati uno per uno, poi sarei venuto a ritirarle e avrei tolto il disturbo. Gli inquilini più giovani hanno preso i soldi e hanno accettato senza fare domande. I più duri da convincere sono stati gli anziani: temevano fossi un pazzo o un truffatore. Solo il signore dell’ultimo piano non ne ha proprio voluto sapere. Ha ascoltato la mia proposta da dietro lo spioncino e mi ha urlato di andarmene, altrimenti avrebbe chiamato la polizia. Undici balconi su dodici: potevo comunque ritenermi soddisfatto.

Stamattina mi sono svegliato all’alba, ancora dormivi e non ti sei accorta di niente. Sono sceso in strada a guardare la casa color arancio. Peccato per l’ultimo piano spoglio e per qualche fessura qua e là. Ma pazienza; pazienza anche per le ringhiere sporche che spuntano sotto le tende. Il colore del tramonto era lì, davanti ai miei occhi.

Sono salito in casa, mi sono rinfilato sotto le coperte al tuo fianco. Finalmente ti sei svegliata. Ti ho guardato aprire le imposte e ho aspettato un tuo sorriso. Un tuo urlo di gioia. Ti ho aspettato a letto. Ma te ne sei andata a bere il caffè in cucina, senza dire una parola.
Forse ti sei scordata dei nostri sogni color arancio. O forse tutto questo non è mai stato abbastanza.

[Questa storia è stata pubblicata per la prima volta su BasiclyMag]

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I tried to convince the entire building: four floors, three flats each. I knocked on every door, laden like a donkey, asking to hang my orange curtains. Just for tomorrow morning, I assured all of them one by one, then I’ll come pick them up and you won’t see me again. The younger tenants took my money without question. It was more difficult to convince the elderly: they feared I was either crazy or a burglar. Only the man living on the top floor didn’t open the door. He listened to my offer through the peephole and shouted at me to leave, otherwise he would have called the police. Well, eleven flats out of twelve: I did a good job.

This morning I woke up at dawn. You were still asleep and you didn’t hear me leaving. I went down the street to look at the orange building. Shame about the bare top floor and about some cracks here and there. Whatever, and whatever for the dirty railings popping out of the curtains. The color of the sunset was there, right in front of my eyes.

I came back home and laid down next to you. Finally you woke up. I looked at you opening the shutters. I was waiting for your smile. For a shout of joy. I was waiting for you in bed. But you went to the kitchen to make some coffee, without saying a word.
Perhaps you’ve forgot our orange dreams. Or perhaps all of this has never been enough for you.

Attesa

Fuori dai bordi

Tbilisi

Accomodati se vuoi.
Ti assicuro che la sedia è morbida.

Non passa mai nessuno: vieni, riposati un attimo. Sarai stanco dopo tutta la salita.

Sei fortunato, ora c’è anche ombra. Lo sai che la sera, qui al numero 18, tira forte il vento?

La città illuminata è uno spettacolo che non puoi perderti. Potresti aspettare il buio con me. Sederti qui come faccio io ogni giorno. La sedia è attaccata al muro, così non me la porta via nessuno.

E se piove?, ti starai chiedendo.

Tranquillo, ho pensato a tutto quanto, c’è anche un ombrello. Bianco, proprio come piace a te.

Quindi arrivi? Ti fermi un po’?

Io sono sempre qui ad aspettarti.

Doors

Fuori dai bordi

Photo by @nat.klimenko

La prima l’ho aperta senza nemmeno pensarci: una porta vecchia, tutta rovinata agli angoli. Sembrava sul punto di sgretolarsi da un momento all’altro. L’ho spinta lentamente e sono entrato. La stanza era luminosa, le pareti verdi e azzurre, il soffitto altissimo a vetri. Era bella come un giardino, ma non mi convinceva del tutto. Sono uscito veloce, lasciando la porta aperta alle mie spalle.

Sono andato avanti lungo il corridoio e ho aperto la seconda, anche questa senza fretta. Ho girato intorno alla stanza: tra quelle pareti color fuoco, pareva di essere nel cratere di un vulcano. Bella; ma di nuovo non mi convinceva. Troppa energia, il rosso e l’arancio non mi sono mai piaciuti.

E così è stato per la terza, la quarta, la quinta, la decima; andavo avanti una per volta, trovando sempre un dettaglio sbagliato che mi faceva abbandonare la stanza.

Eccomi di fronte alla trentaduesima. Ormai le porte le sfondo con forza, per paura che non si aprano. Spero sia la volta buona, ma come sempre è peggio delle precedenti: quattro pareti strette, uno spazio vuoto e senza luce.

Potrei tornare indietro alla prima stanza, a quel giardino meraviglioso, ma se la trentatreesima fosse quella giusta?

Cammino oltre, e per chissà quante altre porte. 

[Questa storia è stata pubblicata per la prima volta su BasiclyMag]

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I opened the first one without even thinking: an old door, ruined at the edges. It seemed about to crumble at any moment. I pushed it slowly and came in. The room was bright, green and blue walls, a high glass ceiling. It was as beautiful as a garden, but I wasn’t completely convinced. I came out of it quickly, leaving the door open behind me.

I walked along the corridor and softly opened the second one. I wandered around the room: among these flame-colored walls, I felt like I was in a crater. Beautiful; but still, it didn’t entirely convince me. Too much energy; I never really liked red and orange.

And it happened the same with the third, the fourth, the fifth, the tenth door; I kept going on, always finding something wrong that made me leave the room.

I am now in front of the thirty-second one. I almost break down the last doors because I fear they won’t open. I hope this is the right one, but it’s actually worse than the previous ones, as always: a narrow space, empty and dark.

I know I could go back to the first door, to that marvellous garden, but what if thirty-third is the right one?

I keep walking, and who knows for how many doors.