La danza della trottola

Fuori dai bordi

Calle de la Ronda, Quito

Ruota veloce, segue il proprio ritmo, accelera senza correre. I colori si liberano dai bordi, si sciolgono e si intrecciano come nuvole in cielo. La danza perfetta. A ogni giro perde un pensiero, una storia, un ricordo. Nessuno riesce a staccarle gli occhi di dosso.
Poi arriva un tremolio leggero, quasi impercettibile. Si rialza fiera e riprende a ruotare, ma gli sguardi sono più severi, pronti alla caduta. Qualcuno si alza e abbandona.
La danza continua; poi una seconda vibrazione, questa volta più forte, la spinge tutta a destra. I più se ne vanno, scuotono la testa, sanno che non reggerà ancora molto: quindi, che senso ha restare?
Ruota, i movimenti sono ormai più rigidi. Il volto contratto.
Una terza vibrazione le fa toccare terra, toc, sbanda e perde il controllo.
Un tonfo, poi silenzio. Non è rimasto più nessuno.
Si affloscia pesante sul palco. I colori e i pensieri le ricadono addosso.
È ora di abbandonare la scena.
Avanti il prossimo.

Occhi di diavolo

Fuori dai bordi

Via Lascaris, Torino

Com’è il mondo al contrario?

Suole di scarpe, sottane bianche, gambe senza busto, mani senza braccia.
Camminano veloci su un paio di occhi neri, immobili.

Un cane guarda a terra, abbaia e tira il padrone.
Un bambino si china, infila il dito nella fessura.
Un altro avvicina la bocca.
«Com’è il mondo al contrario?» sussurra.
Poi appoggia l’orecchio al marciapiede.

Ma gli occhi di via Lascaris non rispondono.
Aspettano.
Suole di scarpe, sottane bianche, gambe senza busto, mani senza braccia.
Aspettano che il mondo si giri al contrario.

Vita di vetro | Glass life

Fuori dai bordi

Plaza Omotesando Harajuku, Tokyo

Tokyu Plaza Omotesando Harajuku,
Prima scala,
Immobile nel solito punto.

Passa una ragazza con le scarpe rosse come Dorothy. Si muove leggera e pure a me sembra di volare. Un’ombra bianca mi sfiora la mano, camminiamo insieme: un passo, due passi. Poi arriva un ragazzo vestito di giallo, ride di gusto. In un attimo mi ritrovo con la sua maglietta mentre lui sparisce con la mia giacca grigia. Me la presta una, due, mille volte lassù. Ma non è mai uguale, sai?

Ieri sono rimasto un’ora su queste scale. Immobile, mentre in quel vetro indossavo mille vite diverse. Mi sembra di averti incrociato, per un attimo. Portavi una gonna bianca, giusto? O forse faccio confusione, ieri avevi un vestito a righe.

Qualcuno mi urta e crepo in mille pezzi.
La giacca grigia, i piedi chiusi nelle scarpe di pelle.
Scendo le scale,
non esisto più.

Tokyu Plaza Omotesando Harajuku,
Prima scala,
Immobile nel solito punto.
Domani torno.
Tu ci sarai?

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Tokyu Plaza Omotesando Harajuku,
First stair,
Motionless in the exact same spot.

A girl goes by; she’s wearing red shoes like those of Dorothy. She moves lightly and I feel like I’m flying. A white shadow barely touches my hand, we walk together: one step, two steps. Then a guy dressed in yellow. He laughs out loud. In no time I find myself with his yellow t-shirt on, while he disappears with my grey jacket. He lends it to me once, twice, a million time up there. But it’s never the same, you know?

Yesterday I remained here for an hour. Motionless, while on that mirror I was wearing a thousand lives. I think we met, just for a moment. You were wearing a white skirt, right? Or maybe I’m getting confused, you had a striped dress yesterday.

Someone bumps into me. I break into a thousand pieces.
The grey jacket, feet back in leather shoes.
I go down the stairs,
I no longer exist.

Tokyu Plaza Omotesando Harajuku,
First stair,
Motionless in the exact same spot.
Tomorrow I’ll be back.
Will you be there?

Peacock feathers

Fuori dai bordi

Udaipur, India

44, 45, 46…
Ora scendo. La salita si fa ripida e io non pedalo più. Non ce la faccio.

Anche oggi non una nuvola a Udaipur. Il sole ci sta bruciando le strade, la terra, le nostre case. Se continua così, ci brucia anche i sorrisi.

Sono quasi le 10. I primi turisti stanno per uscire dal Palazzo. Questo caldo brucia anche il loro di entusiasmo.

“Peacock feathers?”
L’ho imparato per loro. Ma le piume non le vogliono. Sono interessati a me, al mio turbante e alla mia vecchia bicicletta. A volte mi fotografano di nascosto. A volte mi fotografano e basta. Ma non compra niente nessuno.

“Peacock feathers”, ci riprovo.

Camminano oltre, il sudore negli occhi.

Continuo per la mia strada, la bicicletta al fianco come un’ombra, il pedale che mi sbatte sul ginocchio. Non manca tanto al tempio.
Un dolcetto e qualche piuma la porto al Dio Vishnu. Il mio dono, la mia preghiera.
Che trovi un buon partito per la mia bambina.
Che la fortuna assista la mia famiglia.
Prego di vendere qualcuna di queste piume. Ne ho davvero bisogno, Vishnu.
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44, 45, 46…
Now I get off. It’s too steep and I can’t cycle anymore. I can’t do it.
Another day without clouds here in Udaipur. The sun is burning our streets, the earth, our homes. It’ll soon burn our smiles.
It’s almost 10 am. The first tourists are leaving the Palace. This heat also burns their enthusiasm.
“Peacock feathers?”
I learnt these words for them. But they never want my feathers. They’re interested in me, in my pagri and in my old bike. Sometimes they secretly take pictures of me. Sometimes they just take them. But nobody buys anything.
“Peacock feathers?”, I try again.
They walk by, sweat in their eyes.
I keep walking, the bike on my side like a shadow, the pedal that bumps into my knee. The temple is quite close.
I’ll bring some sweets and some feathers to Vishnu. My gift, my pray.
That I will find a good husband for my little daughter.
That luck will help my family.
I pray to sell some of these feathers. I really need this, Vishnu.

Silenzio a Shirvanshah

Fuori dai bordi

Palazzo degli Shirvanshah, Baku

Tempo fa era tutto più semplice: il palazzo degli Shirvanshah era spesso vuoto e poco importava se restava qualche foglia o carta fuori posto. Ora i turisti arrivano mattina e pomeriggio, invadono le mura, zompano da un punto all’altro come cavallette. Non smettono mai di parlare in tutte quelle lingue che non conosco. Ci provano pure a farmi delle domande, ma non so proprio come rispondere. Le loro voci stancano più del lavoro. Spesso sono pure nei piedi, con quella loro mania di fare fotografie.

Meno male che questo cortile è un po’ nascosto. Si passa per una scalinata stretta che non si nota facilmente. A quest’ora il sole è troppo forte per loro. Posso sedermi su questa panchina, guardare la fontana, prendere fiato e ombra.
Quando sento una voce, mi alzo, giro le spalle e mi faccio più stretta che posso. Appena vanno via torno a sedermi. Torna il silenzio.